ecological overshoot

Ormai è chiaro che il nostro modello di sviluppo è in crisi profonda: dal punto di vista della sostenibilità ecologica, siamo ampiamente in situazione di ecological overshoot, ovvero consumiamo risorse rinnovabili ad un ritmo più veloce della capacità degli ecosistemi di rigenerarle: dal punto di vista della giustizia economica, appare ormai insostenibile la sempre maggiore disparità nella distribuzione dei redditi, e la tendenza a concentrare sempre più potere e ricchezze nelle mani di pochi, a danno di tutti gli altri (il famoso 99% del Nobel J. Stiglitz): dal punto di vista della sostenibilità del business, è ormai chiaro che serve un modello che non sia più legato soltanto alla logica del profitto a tutti i costi, ma anche ad impegni sociali, ambientali ed etici che possano influire sulla legittimazione della sopravvivenza nel mercato: dal punto di vista culturale, serve un cambio netto di mentalità, non più ambizioni di profitto di short-term, ma la capacità di programmare, progettare, ideare soluzioni che favoriscano la crescita di lungo termine.

Credo fortemente che abbia ragione la filosofa statunitense  Martha Nussbaum quando afferma che bisogna integrare l'istruzione tecnica ed economica (sempre fondamentali per un'impresa e le classi dirigenti delle nostre democrazie) con una formazione umanistica capace di creare una nuova cittadinanza, un nuovo senso di appartenenza ad un pianeta di cui siamo solo coinquilini temporanei. Serve il passaggio dall'intelligenza e coscienza individuali all'intelligenza e coscienza collettive, una maggiore "abilità alla visione" da parte di un numero sempre crescente di cittadini, serve la libertà dalla paura che si può costruire attraverso una rete di relazioni tra cittadini consapevoli. Serve un nuovo capitalismo, solidale e fondato su un nuovo umanesimo: il progresso tecnologico ha portato ad un'evoluzione non solo dei mezzi di comunicazione, ma anche degli stessi consumatori, anzi oggi gli utenti hanno piegato la tecnologia ai propri bisogni, oggi siamo tutti always in, sempre in relazione, e possiamo essere informati su qualsiasi cosa, in qualsiasi istante. Siamo nella società liquida di Z. Bauman, e siamo tutti parte attiva di questi continui cambiamenti, ormai non abbiamo più alibi per poter dire "Ma io non lo sapevo...".E' possibile che tutto ciò non basti, ma se vogliamo uscire da questa situazione, è comunque un passo obbligato.

(io Cero)

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Dal 05 al 15 maggio 2016 nella nostra città di  Bergamo si è tenuto Bergamo Festival, un importante appuntamento con la Cultura, 10 giorni di incontri con relatori di altissimo profilo internazionale durante i quali è stato possibile confrontarsi sulle problematiche economiche, ambientali e sociali del nostro tempo, che riguardano tutti, ed importante occasione per lasciarsi tentare di mettersi in discussione.

Papa Francesco ha detto che l'umanità non ha bisogno di maestri, ma di testimoni: abbiamo avuto l’occasione di ascoltare persone che stanno testimoniando con la loro vita quello che hanno illustrato con grande capacità comunicativa, quindi da gran maestri: in un mondo di bla bla bla dell'ovvio e del gratuito, una preziosa rarità.

L’inizio è stato con un “grande vecchio” del nostro teatro (Roberto Herlitzka), che con la voce e l'arte di modularla ha narrato pagine forti di Bernanos che ci ricordano che la tecnica è devastante se lasciata in uso agli imbecilli, e "di cosa sia capace l'odio paziente e vigile dei mediocri"... In un'epoca in cui vige il primato delle cose rispetto agli uomini, in cui domina il principio della mercificazione, in cui la tecnoscienza sta deresponsabilizzando sempre più l'uomo, è stata la prima importante testimonianza ed invito a non abdicare mai alla nostra intelligenza e alla volontà di costruire comunità basate, come già scriveva Platone 2500 anni fa nel Protagora, su aidos e dike, rispetto e giustizia, fondamenti della virtù per eccellenza, la politica.

I temi toccati hanno parlato della complessità della nostra epoca, ed appare oramai evidente che siamo chiamati ad un cambio di prospettiva, per salvare il pianeta e garantire a tutti un’esistenza dignitosa. Al di là delle legittime opinioni, non possiamo più permetterci di coltivare la cultura dell'alibi, pensare che la responsabilità di quello che accade sia sempre di qualcosa o qualcuno esterno a noi: è vero che i problemi ormai sono globali e i poteri forti sono sempre più forti, ma non basta essere indignati con il mondo intero, e poi essere menefreghisti per quel che riguarda e compete a noi. Oggi più che mai siamo informati, ma non dobbiamo pensare che informazione sia conoscenza, non possiamo pensare che siano le "protesi tecnologiche" di cui abbondiamo a darci il senso critico necessario per fornirci capacità di analisi e giudizio.

"La comprensione interrompe l'azione", scriveva Nietzche: non sarà facile, ma perché non provarci, perché rinunciare in partenza? Non accontentiamoci del nostro destino di "eremiti di massa" funzionali ai mezzi di comunicazione, ricominciamo a condividere le nostre reali esperienze comuni, e non solo gli spazi virtuali dello smartphone: "se non siamo in grado di guidare il nostro destino, non per questo dobbiamo rinunciare a sorvegliarlo" (Confucio).

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Negli anni ’80 Reagan impose che l'assenza di regole (deregulation) diventasse l’unica regola, la Lady di ferro certificò che “la società non esiste, esiste solo l'individuo”, il denaro il suo unico Dio, si cominciò a credere che la democrazia fosse un diritto, non un dovere, e che la libertà non dovesse avere limiti. Pochi i controcorrente che potevano essere commercializzati e quindi diffusi, ricordo i Genesis che avevano  colto e messo tutto questo nel loro (per me bellissimo) video “Land of confusion” (Terra di confusione, 1986), ma si sa, la musica deve innanzitutto piacere, e poi porta incassi. Tuttavia il tema è molto vecchio, trattato già 2500 anni fa da tale Platone, che nel suo “Repubblica” avvertiva che la democrazia intesa come diritto e non come dovere, porta al primato dell'economia sulla politica, all'individualismo esasperato, alla sete di successo che fa calpestare gli altri, al soddisfacimento dell'appetito immediato. E ciò induce i cittadini a consegnarsi a un difensore, spesso un demagogo (per favore, prendetevela col Sig. Platone, e non con me…). In ogni caso a noi Platone non interessa, non ci piace, per cui non è nemmeno vero. Già, perché è questa l'equazione vincente di oggi, “Mi piace=vero”: nell’era dell’informazione non conta il conoscere, il sapere, conta il "mi piace", anche se magari è riferito ad una bufala. I maghi del consumo l'hanno capito e ci hanno accontentato, per cui oggi  l’informazione la trovi dappertutto, è diventata il maggior bene di consumo, e per essere tale non importa che sia vera, deve piacere. “Mi piace”, “I like”= ti tengo, non mi piace= ti elimino. Anzi, prima di eliminarti scarico su di te una serie impressionante di “vaffa” che più è volgare e offensiva, e meglio è, perchè piace di più, ha più consenso. Difficilmente mettiamo insieme soggetto+predicato verbale+complemento oggetto (????), anzi è una fatica che non ci interessa, ormai  le notizie arrivano confezionate sugli scaffali virtuali del supermercato della comunicazione, e a noi basta acquistare schiacciando su “mi piace”, e siamo soddisfatti. Che bello, non ci viene richiesto di approfondire, meditare, verificare, non dobbiamo fare nessuno sforzo concettuale….Ovviamente tutto ciò vale fin quando non troviamo una notizia, una persona, un posto, un'attività che ci piace ancora di più, allora schiacceremo il “mi piace” su quella, ci dimenticheremo dei proclami e degli impegni presi il giorno prima, e ci sentiremo soddisfatti perchè convinti di aver agito in totale autonomia. E' la deriva della libertà di scelta, per cui scegliamo e diffondiamo quello che ci pare e piace, senza preoccuparci se la notizia sia vera o falsa, scegliamo sull’onda emotiva, che a volte dura lo spazio di un giorno, anche su questioni importanti come il prossimo referendum: vedo un dibattito dipendente più dal pro o contro qualcuno, che dal merito dei quesiti, vogliamo difendere o cambiare la costituzione senza nemmeno conoscerla, anzi non ci interessa conoscerla, ci interessa solo scegliere il nemico e insultarlo.

Insomma, nell’era degli psciconauti in cui abbiamo abolito il principio di realtà e generato la solitudine di massa in un click, mi sembra ci siano in giro poche idee ma confuse. O meglio, per dirla con Kraus, “La libertà di pensiero ce l’abbiamo. Adesso ci vorrebbe il pensiero”. Lo ammetto, la politica del vaffa indiscriminato, dell’insulto eletto a vanto da esibire e di cui compiacersi, non mi piace. Chissà, forse mi sbaglio, forse faccio fatica a capire per una questione generazionale: oppure, molto più semplicemente, hanno ragione i miei amici di Brembate (che saluto con affetto), che da sempre mi dicono “Beat te, che te se ignorant”.   (30.11.2016)

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Recentemente ho avuto il piacere, in qualità di amministratore della Ceroni Costruzioni Srl sostenitrice di Noesis, libera Associazione con sede in Bergamo, che da 25 anni si occupa della diffusione delle culture filosofiche organizzando cicli semestrali di incontri con filosofi, di partecipare alla serata con ospite Diego Fusaro, giovane ma già affermato filosofo. Il tema della serata, “Aristotele e i dilemmi dell’economia”, è stato quanto mai stimolante ed attuale, interrogandoci sui nostri credo e i nostri stili di vita.
Per Aristotele il fine del lavoro è la produzione dei mezzi necessari alla vita e utili alla comunità, per contro condanna esplicitamente l’accumulo di ricchezze da parte solo di alcuni a scapito della collettività, la ricerca (innaturale) di sempre maggior profitto per soddisfare il rilancio continuo di desideri personali e non dei bisogni collettivi. Aristotele sosteneva che bisogna porre freno ai desideri umani (illimitati), e al conseguente sfruttamento delle possibilità umane. Oggi invece l’assenza di regole è pervasiva ed intrusiva in ogni settore della vita, dall’economia fino ai costumi, tutto il pianeta (naturale e sociale) è un unico impianto di produzione e di scambio, da spremere in base alla legge del capitale contemporaneo secondo cui bisogna sempre trovare qualcuno che faccia la stessa cosa ad un prezzo minore, con l’effetto che, per essere sempre più competitivi e concorrenziali, si contraggono i diritti dei lavoratori. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il lavoro oggi è ancora un mezzo di affermazione e liberazione, o invece è un’arma di ricatto da cui affrancarsi e liberarsi?

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4 agosto 1936, Olimpiadi di Berlino: all'Olimpyastadion il campione scelto da Hitler e Goebbels per rappresentare la razza superiore della Germania nazista, il forte, bello, borghese Luz Long, non vince la gara del salto in lungo: non solo, viene battuto da un afroamericano di nome Jesse Owens, nipote di uno schiavo dell'Alabama: non solo, a fine gara il primo a congratularsi ed abbracciare Owens sarà proprio Lang, facendo arrabbiare Hitler e Goebbels. I due (Owens e Lang) si conoscono al Villaggio Olimpico e stringono una forte amicizia, più forte dei pregiudizi e delle follie totalitarie del tempo. E nonostante il ritorno a casa sia (incredibilmente) amaro per entrambi. Jesse Owens, pur avendo vinto quattro medaglie d'oro, continua ad essere un afroamericano, gli hotel di New York City continuano a non dargli da dormire, il Presidente Roosvelt non gli stringe la mano per paura di perdere consensi, e a soli 21 anni sarà costretto dalla federazione americana a non gareggiare più, per essersi rifiutato di correre quasi tutti i giorni perché stanco. Ogni gara erano dollari, per gli organizzatori, non per lui. Lui per vivere sarà costretto a fare le corse contro i cavalli, un fenomeno da circo… Verrà ricevuta alla Casa Bianca solo nel 1976, dal Presidente Gerald Ford. Luz Long invece è costretto a partire per la guerra e non tornerà mai più, ucciso da una raffica di mitra in Sicilia, dove è ancora sepolto: non vedrà mai suo figlio Kai, nato nel frattempo. Quando gli dicono che è diventato padre, scrive all’amico Jesse una lettera con queste parole:

“Mio caro amico Jesse, dove mi trovo, sembra che non vi sia null’altro se non sabbia e sangue. Io non ho paura per me, ma per mia moglie e il mio bambino, che non ha mai realmente conosciuto suo padre. Il mio cuore mi dice che questa potrebbe essere l’ultima lettera che ti scrivo. Se così dovesse essere, ti chiedo questo: Dopo la guerra, va’ in Germania, ritrova mio figlio e parlagli di suo padre. Parlagli dell’epoca in cui la guerra non ci separava e digli che le cose possono essere diverse fra gli uomini su questa terra. Tuo fratello, Luz”.

Una delle tante storie di umanità, amore per la vita e per lo sport, più forte di ogni ignorante e criminale orrore che li voleva nemici. Oggi, dopo 82 anni esatti, mi sembrano una storia e delle parole più che mai attuali, su cui vale la pena fermarsi un attimo e riflettere. Almeno chi ha l’umiltà di farlo.

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"Sono diventato Morte, distruttore di mondi" (Robert Oppenheimer, uno dei maggiori scienziati del XX secolo)

Martedì 26 febbraio scorso, all’interno del ciclo di incontri-conferenze organizzate da Noesis, ho avuto il piacere-onore di presentare la serata con ospite Mauro Bonazzi, docente di filosofia all’Università di Utrecht (Olanda) e alla Statale di Milano: il tema era “La Ricerca infinita. Ulisse, Aristotele, Dante”. Detta così, roba per specialisti, magari un po’ buontemponi. E invece, come sempre accade, tutto ci è molto più vicino e ci riguarda, basta aver voglia di riflettere un po', e staccarsi dai facili stereotipi per cercare di capire. 

Nell’occasione, prima della conferenza dell’ospite, abbiamo trasmesso un breve video con alcune nostre realizzazioni e, soprattutto, alcuni spunti di riflessione che riguardano il nostro lavoro, per evidenziare come il lavoro (di ognuno di noi) non sia mai neutro, ma ha sempre delle conseguenze: noi, in particolare tecnici e costruttori, lavoriamo SUL territorio e COL territorio, inteso sia come espressione geografica ma soprattutto sociale, quindi con responsabilità importanti.

Alcune domande del video possono sembrare retoriche ma non lo sono, noi abitiamo dentro una casa comune che è il nostro pianeta -per il momento l’unico che abbiamo- e quindi dobbiamo averne cura: e siamo “condannati” a vivere in società, insieme agli altri, e quindi dobbiamo sapere quali relazioni tra simili vogliamo favorire e sviluppare, e quali no. 

Parafrasando Dante, il nostro viaggio, di vita e lavorativo, dev’essere, come quello di Ulisse, un viaggio etico e conoscitivo, con la conoscenza al servizio del Bene (maiuscolo, singolare).Ci sono tanti modi di lavorare e tante domande da porsi, le risposte dipendono dagli obiettivi che ci poniamo, e dalla conoscenza che vogliamo avere per dare le giuste risposte. Oggi al vertice delle priorità c’è il profitto, a qualsiasi costo, anche a costo di distruggere il pianeta e le sue comunità. A livello ambientale abbiamo barattato il cambiamento climatico ed i suoi effetti con l’arricchimento di pochi, a livello sociale (soprattutto da noi) abbiamo normalizzato un precariato diffuso in cambio di un mercato sottoscosto, col risultato di espandere l’impoverimento e distruggere un tessuto imprenditoriale e sociale di grande valore.

A proposito dei temi trattati nella serata: ieri. 16 marzo, una ragazzina svedese di 16 anni, di nome Greta Thunberg, è stata capace di mobilitare mezzo mondo sul tema del riscaldamento globale, accusando gli adulti “di aver ceduto il nostro futuro agli approfittatori”. Greta viene dalla Svezia, un paese ad alta coscienza ecologica e civica: e infatti la risposta di tanti adulti italiani è stata di derisione, sospetto, accusa. Non so se e chi ci sia dietro questa ragazzina, e so già che in tanti cercheranno di trarne profitto, ma non mi interessa: nulla di tutto ciò rovina la bellezza e l’importanza di questa battaglia. Spero che Greta e il movimento giovanile che ha innescato portino aria fresca, disintossicata dai tanti veleni che la inquinano, e si possa finalmente vivere in un clima migliore. Sotto tutti i punti di vista. Ne abbiamo bisogno.

Al COP24 (la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico) del dicembre scorso a Katowice, Greta ha detto: «Sono le sofferenze dei molti che pagano per i lussi dei pochi. Nel 2078 celebrerò il mio 75esimo compleanno. Se avrò figli, forse passeranno quel giorno con me. Forse mi chiederanno di voi. Forse chiederanno perché non avete fatto niente quando c’era ancora il tempo per agire. Dite di amare i vostri figli più di ogni altra cosa, invece rubate il loro futuro proprio davanti ai loro occhi».
No comment.

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Ho come l’impressione che il virus ci stia dicendo tante cose, importanti, e abbia scelto, forse suo malgrado, il modo ultimo, estremo, per farcelo capire. Come a dirci: ora o mai più.
Ci siamo illusi, piccola e violenta specie, di poter imporre su tutto e su tutti il nostro volere e piacere, avvelenando, intossicando, estinguendo tutto ciò che ci tiene in vita, anziché preservarlo con la massima cura: poi, improvvisamente, il virus è entrato nella nostra vita senza chiedere permesso (magari per qualcuno avrebbe dovuto farlo…) per aprirci gli occhi e mostrarci che, nel nostro delirio di onnipotenza ed autosufficienza, abbiamo pensato di poter capovolgere il cielo, sconvolgere la terra, annichilire i rapporti sociali. Di colpo ci siamo ritrovati soli, fragili, impauriti ed impreparati nel ruolo inatteso di “prigionieri della peste “. Il virus ci ha rubato la socialità e gli spazi di vita per farceli rimpiangere e rimettere al posto giusto: il contagio come medicina terribile, estrema, per capire l’importanza di ciò che stiamo bruciando sull’altare del nostro ego smisurato.
Per sconfiggere il virus dobbiamo adottare il “distanziamento sociale”. Riprendiamoci quel metro di distanza e riempiamolo, proteggiamolo, santifichiamolo, ce lo sta chiedendo il virus. Facciamo in modo che tante morti e tanta sofferenza non siano vane.
 
9 Marzo 2020
di Mariangela Gualtieri
 
Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.
Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.
E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere –
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.
Adesso siamo a casa.
È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.
È potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.
Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.
Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.
Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.
A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora –
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro.